Mai espliciti, il linguaggio e i significati si nascondono dietro lo schema tradizionale della fiaba che diviene la cornice narrativa di una moderna allegoria delle deviazioni ed eccessi della nostra epoca. E’ “La città del piacere” di Ezzat El Kamhawi, per la prima volta tradotto in Italia.
“E non è in grado di distinguere
il grido di piacere della donna
e l’urlo di dolore di lui”.
Ti scoprirai sospeso tra i sospiri lievi che, sinuosi, percorrono le strade di una città pulsante, tracciando in essa un inestricabile groviglio di piacere sensuale.
Ti abbandonerai inerme al loro richiamo sommesso pieno di voluttuosa bramosia, pronto a barattare il tuo passato per uno stralcio di pura lascivia.
Infine, ti desterai voltando l’ultima pagina, ti guarderai attorno scosso dalla sensazione di aver perso l’equilibrio in una realtà lontana in cui, smarrito, cercavi nei segni del presente i punti cardinali per orientare la tua vita.
È difficile allontanarsi da “La città del piacere” senza sentirsi terribilmente confusi. Il libro, pubblicato in Egitto nel 1997 con il titolo “Madinat al-ladhdha”, è stato tradotto e pubblicato per la prima volta in Italia quest’anno dalla casa editrice “Il Sirente”.
Ezzat El Kamhawi , giornalista di professione che si dedica alla scrittura con ottimi riscontri di critica ed è al suo primo romanzo, disegna una solida città, fatta di spesse mura, enormi piazze, castelli e palazzi immensi, la cui consistenza però si rivela essere quella dei sogni.
Le vivide descrizioni sfumano nell’incerto e risultano offuscate al tocco inesperto di chi prova a coglierne il significato velocemente.
Ezzat El Kamhawi, dunque, non si nega il piacere di giocare con il lettore, disseminando la narrazione di innocui inganni: sovrappone presente e passato mitico, Oriente ed Occidente, finzione letteraria e pragmatica realtà, fino a stratificare le interpretazioni per renderle permeabili alla visione del lettore.
In questo caso, poi, la mancanza di un’unica interpretazione non lede, bensì accresce la peculiarità del libro, che può dunque essere esperito ed analizzato da molteplici angolazioni, nessuna aprioristicamente errata.
L’unica certezza è data dalla costante presenza dell’Eros che, pagina dopo pagina, consuma uomini e donne indifferentemente; tutti si ritrovano posseduti da una città vorace, affamata di un appetito insaziabile e spogliata di qualunque sentimento che non sia il piacere fine a se stesso.
Soggiogate dalla lussuria irrefrenabile, dall’avidità che rende soli e da quell’implacabile desiderio dietro cui si nasconde un gelido vuoto emozionale, le opulente città del Golfo costituiscono il bersaglio principale – ma non l’unico – di Ezzat El Kamhawi che, forse per deformazione professionale, non giudica né sentenzia apertamente.
Mai espliciti, il linguaggio e i significati si nascondono dietro lo schema tradizionale della fiaba che, oltre ad eludere il rischio di censura, diviene la cornice narrativa di una moderna allegoria delle deviazioni ed eccessi della nostra epoca.
E. ElKamhawi
“La città del piacere”
traduzione dall’arabo di Isadora D’Aimmo
ed. Il Sirente, 2015